Lo scorso 3 marzo Emmanuel Macron ha ufficializzato la sua ricandidatura alle elezioni presidenziali francesi. A poco più di un mese dal primo turno delle elezioni, Macron appare favorito nei sondaggi – sia per quanto riguarda il primo turno che per il ballottaggio – anche se l’alto numero di candidati e i forti contrasti che li contraddistinguono potrebbero generare risposte fluide e impreviste da parte dell’elettorato francese.
Il 2022 si presenta dunque come un anno molto importante per la politica francese, e potenzialmente anche per il resto dell’Europa e per il Mediterraneo – e non solo per via delle elezioni del prossimo aprile. A partire dal primo gennaio di quest’anno, infatti, il governo francese ha assunto la presidenza del Consiglio dell’Unione europea, un compito che spetta a rotazione ogni sei mesi a tutti i governi dell’Ue, e che gli statisti di Parigi svolgeranno dunque fino alla fine del mese di giugno. A ciò vanno aggiunte ovviamente la sfida legata al rilancio dell’economia post-Covid-19 e la tragedia dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Fin dall’inizio del suo mandato, nel maggio 2017, Macron è stato molto attivo sia sul piano interno, con un ampio programma di riforme economiche e sociali, sia sul piano europeo e internazionale, concentrandosi sull’ambizione di rendere l’Europa “potente” e “sovrana” negli scenari globali. Il presidente francese si è speso con grande energia anche nei giorni dell’escalation della crisi ucraina, con un viaggio a Mosca e poi a Kiev nel tentativo – rivelatosi poi sfortunato – di scongiurare lo scoppio della guerra.
Una breve riflessione generale sul primo quinquennio di Macron all’Eliseo, integrata da uno sguardo alle iniziative più recenti intraprese dalla Francia in campo europeo e internazionale, possono aiutarci a capire tanto le virtù quanto i limiti dell’azione francese e dello stesso Macron – virtù e limiti che tra l’altro la Francia condivide in buona parte con ogni altro paese europeo.
Macron ha da sempre legato i suoi ambiziosi progetti di riforma interna alla sua visione altrettanto ambiziosa di rilancio e approfondimento del processo di integrazione europea. Il presidente francese ha inoltre articolato una strategia “globale” volta ad amplificare il ruolo internazionale di Parigi rendendo la Francia una “potenza mediatrice” capace di essere un motore di cambiamento in Europa e un interlocutore affidabile – una sorta di portavoce dell’Ue – per le altre potenze mondiali, come gli Stati Uniti, la Cina, o la Russia. Si può ad esempio analizzare in questa logica anche il già citato viaggio in Russia e Ucraina. Possiamo inoltre leggere in quest’ottica le proposte di Macron di riformare le istituzioni dell’area euro per assicurare una maggiore integrazione e un più stretto coordinamento delle politiche fiscali ed economiche dei paesi aderenti alla moneta unica, in modo da rendere l’eurozona più solida e capace di rispondere a crisi sistemiche come quelle generate dalla Grande recessione e dalla crisi del debito greco.
A queste proposte si sono affiancati progetti di maggiore integrazione europea nel campo della della politica estera e di sicurezza. Un punto forte di questo inizio di presidenza francese dell’Ue è stato ad esempio il summit Ue-Unione africana tenutosi tra 17 e il 18 febbraio, in cui l’Europa si è impegnata a destinare maggiori investimenti al fine di favorire il superamento dell’emergenza Covid e più in generale lo sviluppo economico dei paesi africani – molti dei quali hanno per ragioni storiche e politiche una forte relazione con la Francia. Tuttavia è necessario sottolineare che, proprio negli stessi giorni, Parigi e suoi partner europei (e internazionali) hanno annunciato il ritiro dal Mali dopo quasi un decennio di intervento militare volto a stabilizzare il Sahel e a combattere il jihadismo nella regione. A rendere più complicato il quadro va anche osservato che in parallelo al ritiro delle forze francesi ed europee si registra un aumento della presenza nel paese di unità della Wagner, una società di sicurezza privata russa con forti legami con il Cremlino.
L’azione di Macron ha avuto anche una dimensione più marcatamente mediterranea. Da questo punto di vista si può mettere in risalto il Trattato del Quirinale firmato lo scorso novembre dal presidente francese e dal presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, un accordo dalla lunga gestazione che ha simbolicamente ricucito i rapporti tra Roma e Parigi dopo un periodo di freddezza e tensione tra il 2018 e il 2019. Il trattato si divide in undici diverse sezioni che includono una maggiore cooperazione nei settori della politica estera, della difesa e dell’immigrazione e si estendono anche a temi come la ricerca e le politiche giovanili. Il Trattato del Quirinale riprende il modello dei trattati dell’Eliseo e Aix la Chapelle tra Francia e Germania, e prevede anche l’organizzazione di vertici annuali tra i governi di Roma e Parigi. Sempre lo scorso novembre, la Francia ha anche ospitato un’importante conferenza internazionale sul futuro della Libia, allo scopo di favorire il processo di riconciliazione che avrebbe dovuto portare il paese alle elezioni presidenziali e poi legislative. Questo processo è purtroppo deragliato, riportando la Libia in una condizione di crescente frammentazione geografica e politica in due unità territoriali caratterizzate da governi rivali.
Lo scorso dicembre Macron ha anche effettuato un viaggio nei paesi del Golfo Persico, e in particolare negli Emirati Arabi Uniti (a Dubai), in Qatar (nella capitale Doha) e in Arabia Saudita (a Gedda). Il viaggio ha permesso al presidente francese di coltivare relazioni con paesi che svolgono un ruolo chiave per la lotta al terrorismo jihadista – una minaccia che ha ripetutamente colpito anche la Francia negli ultimi anni. Il viaggio ha inoltre confermato l’impegno francese in una regione che sta cambiando in maniera sostanziale come conseguenza degli “Accordi di Abramo” del 2020, che hanno normalizzato le relazioni fra alcuni paesi del Golfo e del mondo arabo in generale e Israele. In occasione di questo viaggio, Macron ha anche cercato di rafforzare la cooperazione tra Francia e Arabia Saudita in relazione all’instabilità in Libano, e ha riferito di aver avuto una conversazione di ampio respiro e “senza tabù” con il principe saudita Mohammed Bin Salman. Il viaggio nel Golfo di Macron si è tuttavia distinto soprattutto per la sua dimensione commerciale, che ha portato alla conclusione di contratti in diversi settori, tra cui l’alta tecnologia e la difesa – contratti tra i quali spicca quello per la fornitura di 80 aerei militari Rafale di ultima generazione agli Emirati Arabi Uniti.
Proprio quest’ultima constatazione può aiutarci a mettere a fuoco alcuni limiti della presidenza Macron. Sebbene infatti l’inquilino dell’Eliseo abbia articolato la sua visione in un’ottica di ampio respiro, europeista e cosmopolita, in termini concreti l’azione internazionale della sua presidenza non sembra essere stata disposta a compiere sacrifici in termini di tutela degli interessi francesi. Molte delle iniziative di Macron possono in effetti essere anche lette come tentativi di promuovere gli interessi nazionali francesi presentandoli in chiave “europea” o “globale”, cercando in qualche modo di permettere alla Francia di ottenere, attraverso la cornice europea, risultati sproporzionati rispetto alle potenzialità transalpine.
L’ambiziosa visione di Macron ha inoltre risentito di alcuni limiti legati tanto all’effettiva influenza internazionale di Parigi quanto alle specificità della personalità del presidente. I progetti di riforma dell’eurozona in senso “federalista” inizialmente proposti da Macron sono stati infatti da subito accolti con freddezza dall’allora cancelliera tedesca Angela Merkel e da altri governi dei paesi “nordici” dell’eurozona, caratterizzati da una situazione debitoria piuttosto favorevole e dalla capacità di emettere titoli di Stato con interessi molto bassi, e dunque preoccupati che una maggiore integrazione possa intaccare il rigore monetario e fiscale che caratterizza la moneta unica. Sebbene la Merkel sia stata favorevolmente colpita dall’eloquenza e dall’europeismo di Macron, queste doti non sono servite a scalfire l’avversione nei confronti dei cambiamenti radicali che ha caratterizzato la leadership tedesca negli ultimi anni. Un problema analogo ha penalizzato i progetti “macroniani” di rilancio dell’integrazione europea nel settore della difesa – soprattutto a causa della reticenza di molti altri leader europei a mettere anche lontanamente a rischio la cornice transatlantica allo scopo di perseguire il progetto di un’Europa autonoma nel campo della sicurezza.
Oltre che con le preferenze e le priorità dei leader degli Stati membri dell’Ue, lo slancio europeista e riformista di Macron si è anche scontrato con il crescente “euroscetticismo” dell’opinione pubblica di molti paesi dell’Unione – Francia inclusa – e con il successo dei partiti e dei movimenti populisti e sovranisti che ha caratterizzato il contesto politico europeo negli anni che hanno preceduto la pandemia. Queste tendenze – così come alcune resistenze da parte dell’opinione pubblica francese sul piano delle riforme interne – non sembrano aver scalfito la determinazione di Macron a perseguire il suo progetto. Tale atteggiamento si è tuttavia rilevato in molti casi un limite piuttosto che un punto di forza. Sebbene infatti la visione di Macron di un’Ue più coesa sul piano interno e autonoma sul piano internazionale abbia molti aspetti condivisibili, il presidente francese si è spesso rivelato poco disposto ad ascoltare i punti di vista e comprendere le esigenze sia dei suoi partner europei che dei suoi stessi elettori. Molte delle riforme immaginate da Macron si sono così scontrate con delle realtà interne e internazionali che non possono essere modificate da un singolo leader o da un singolo paese.
Quest’ultimo punto rappresenta forse il monito più importante tanto per Macron e la Francia quanto per qualsiasi altro leader o paese europeo. Come abbiamo visto negli ultimi anni – e ancora più drammaticamente negli ultimi giorni – il mondo sta cambiando e l’Europa deve riuscire ad adattarsi a questo processo di cambiamento globale. Tuttavia la volontà di un’élite, di un singolo leader, o di un singolo paese non sono sufficienti. Questo processo di riforma non può essere imposto ai paesi e ai cittadini dell’Unione, ma deve piuttosto fondarsi sul rispetto dei valori di pluralismo che caratterizzano sia l’Ue nel suo complesso che le società che la compongono.
Diego Pagliarulo
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